Questa ricerca ha l’obiettivo di analizzare le relazioni di accoglienza tra Italia e Uruguay alla luce del processo di emigrazione italiana in Uruguay e delle conseguenze politiche e culturali che tale fenomeno ha generato nel lungo periodo, in particolar modo attraverso la nascita di un flusso migratorio dal vettore inverso, che ha rafforzato la storia di solidarietà tra i due Stati.
Il flusso migratorio che dall’Italia si diresse in Uruguay, dall’inizio del XIX secolo fino al secondo dopoguerra del XX secolo, ha infatti prodotto un forte avvicinamento culturale. Esuli dei moti del 1821, mazziniani, garibaldini e poi anarchici, oltre che cittadini in cerca di migliori condizioni di vita, emigrarono in Uruguay, dove furono accolti e s’integrarono nella società. Questo movimento generò un interscambio che si è intensificato soprattutto nel momento più difficile della storia politica dell’Uruguay.
I dodici anni di dittatura, dal 1973 al 1985, hanno accentuato le connessioni tra i due paesi in ambito diplomatico, politico e sociale fino a creare un flusso di emigrazione in direzione contraria a quella iniziale, che dall’Uruguay ha portato molti esuli politici in Italia. La presenza oggigiorno della comunità italiana in Uruguay e di quella uruguaiana in Italia, entrambe perfettamente inserite nel tessuto sociale, è una riprova di questo legame, che ha avuto il suo momento culminante nell’epoca del regime dittatoriale nello stato latino-americano. L’intervento italiano nella regione del Plata risale già all’epoca della colonizzazione, tuttavia l’immigrazione italiana s’intensificò solo all’inizio dell’Ottocento. L’esodo italiano ebbe un duplice carattere: un flusso di forza-lavoro imbarcatosi per le Americhe in cerca di migliori condizioni occupazionali e un’emigrazione politica di esuli dei moti del ’20, che volevano riprodurre nella nuova patria la tensione verso la libertà nazionale.
Profughi piemontesi amanti della libertà, garibaldini, imprenditori marittimi liguri e poi esuli mazziniani del 1830 formarono una catena di affluenza spontanea e furono ben presto assimilati nella società locale. La comunità italiana si fece promotrice dello sviluppo dell’ordinamento civile della città di Montevideo, fino a contribuire al processo d’indipendenza uruguaiano. La definitiva integrazione degli italiani nella struttura socio-politica del paese avvenne con la partecipazione attiva alla Guerra grande (1843 – 1852) tra le fila del partido colorado, organizzando e finanziando la Legione italiana guidata da Giuseppe Garibaldi. Se il richiamo dell’Uruguay andò gradualmente scemando alla fine del XIX secolo, la Banda Oriental divenne prevalentemente oggetto di un’emigrazione dal marcato carattere politico per tutta la prima metà del XX secolo, quando approdarono anarchici, socialisti e antifascisti in fuga dall’Italia.
Dopo l’arresto del “aluviòn migratorio” negli anni ’60 (dovuto ad un aumento del benessere in Italia e ad una contemporanea restrizione delle libertà politiche in Uruguay) si è calcolato che gli uruguaiani con discendenza italiana erano oltre un milione e trecentomila, cioè quasi il 40% del totale della popolazione. Il 1973 segnò lo spartiacque per i rapporti di accoglienza tra i due stati. L’instaurazione della dittatura in Uruguay, inserita nel contesto repressivo del Plan Condor, costrinse circa 380.000 uruguaiani ad abbandonare il paese per fuggire dal clima di repressione, controllo, detenzione arbitraria, tortura e desapariciòn.
Data l’origine italiana, molti esuli cercarono rifugio nella terra dei loro avi, costituendo in Italia uno dei più grandi fronti di opposizione e denuncia della dittatura uruguaiana. Nonostante lo Stato Italiano non riconoscesse alle vittime della dittatura lo status di rifugiati, vi fu un forte sostegno politico ai perseguitati del regime uruguaiano. Partiti politici, sindacati e associazioni si attivarono per manifestare contro il regime e per il ristabilimento della democrazia. Le testimonianze degli esuli della dittatura che furono ospitati in Italia, concordano nel rilevare il grande appoggio ricevuto dal paese ospitante, dove ricrearono le strutture politiche uruguaiane e costituirono delle nuove associazioni.
Il pentapartito e il Partito Comunista sembrarono molto sensibili alla realtà uruguaiana, probabilmente perché la composizione dei partiti politici in Uruguay, tutti resi illegali dalla dittatura, rispecchiava la compagine partitica italiana, quindi ogni partito italiano si interessò degli esuli provenienti dai corrispondenti partiti uruguaiani. L’Italia promosse anche dei gruppi di appoggio a singoli prigionieri politici, che prevedevano l’adozione politica di un singolo prigioniero del quale si richiedeva la scarcerazione. A ciò va aggiunto l’interessamento di molte organizzazioni e associazioni umanitarie quali Amnesty International, La Croce Rossa e La Fondazione Lelio Basso, che svolsero un ruolo fondamentale nell’accoglienza degli esuli.
Ci fu quindi una solidarietà politica diffusa, che coinvolse partiti di base, Regioni, Comuni, arrivando a un intervento diretto dei vertici istituzionali in difesa dei diritti umani in Uruguay. Il rapporto tra Italia e Uruguay durante la dittatura, si ripercuote anche oggigiorno, poiché vi sono 13 desaparecidos italo-uruguaiani dei quali tuttora non si conosce la fine. Dopo il ripristino della democrazia fu varata in Uruguay la cosiddetta ley de caducidad, una norma che garantisce l’impunità a quanti si siano macchiati di delitti durante la dittatura.
Come conseguenza di tale legge, i familiari dei desaparecidos di origine italiana si rivolsero al tribunale italiano per indagare sulla scomparsa dei loro familiari. Nonostante l’impegno per ottenere la verità, questa causa nota come processo per il Plan Condor, non è stata ancora conclusa. Il rapporto dinamico tra le due nazioni ha continuato a generare punti di contatto anche dopo la parentesi buia della dittatura, poiché il dialogo solidale innescato dall’emergenza si è poi trasformato in comunicazione permanete e scambio interculturale. L’indagine sui desaparecidos italo-uruguaiani può ben rappresentare questa volontà d’incontro. Nonostante la lentezza delle indagini e l’accusa di lassismo istituzionale mossa dalla parte lesa, le speranze riposte in questo processo sono molte e in Italia si riscontra grande sensibilità e interesse.
Si contano infatti numerosi comitati di “verità e giustizia” e negli ultimi anni sono nate associazioni per all’annullamento della ley de caducidad, esprimendosi a sostegno dei processi ai militari per la scomparsa di prigionieri politici. Contemporaneamente anche la collettività italiana in Uruguay si mostra molto attiva. Si contano infatti circa ottanta associazioni degli italiani in Uruguay, dei quali va rilevato anche l’alto livello di partecipazione elettorale nelle votazioni italiane.
E’ chiaro come le due collettività rappresentino un esempio della tensione esistente tra l’aderenza al tessuto culturale del paese ospitante e il senso di appartenenza alle proprie tradizioni, che tuttavia risultano contaminate da due secoli di migrazioni. Queste collettività sono il prodotto di mutamenti storici, di processi migratori e di conflitti politici e, come tali, hanno subito e subiranno continue alterazioni, sempre in bilico tra integrazione culturale e aderenza alle proprie origini.
Questo lavoro di ricerca è nato dalla volontà di ricordare l’esempio virtuoso di reciproca comprensione tra due popoli. Seppur geograficamente distanti e con differenti radici culturali, i cittadini italiani e uruguaiani hanno saputo avvicinarsi ed ospitarsi, soprattutto in periodi storici di conflitto e persecuzione politica. Credo che il contributo maggiore di questo lavoro sia la ricostruzione di una porzione di storia italo-uruguaiana, sottolineando il valore dell’accoglienza che entrambi i popoli hanno mostrato attraverso il riconoscimento dei diritti fondamentali “dell’altro”, aprendosi alle ragioni dello straniero e generando un percorso di integrazione lungo due secoli.
Martina Paone