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Borse di studio 2011/2012

Indice argomenti trattati:

Le domande ricevute entro la scadenza del 24 giugno 2011 sono state 126 così suddivise per tema:

Tema 1: 31

Tema 2: 74

Tema 3 : 21

Totale : 126

La Commissione, composta da undici valutatori, ha individuato le seguenti domande e relative proposte di ricerca come le più meritevoli per l’assegnazione delle tre borse di studio disponibili. Enti donatori: Provincia di Roma (2 borse di studio), CGIL (1 borsa di studio).

Le 3 vincitrici sono state: Serena Tolino, Maria Chiara Rioli e Antonia Giordano. Inoltre INCA – Istituto Nazionale Confederale di Assistenza (http://www.inca.it/) ha deciso di concedere il finanziamento per una borsa di studio dell’importo di 3.500 € per la realizzazione della ricerca “Una storia di reciproca accoglienza: il sostegno italiano agli esuli della dittatura in Uruguay”, proposta da Martina Paone.

Ciascuna ricerca è stata presentata il giorno 28 aprile 2012 nella sala consiliare del Comune di Monterotondo per la giornata iniziale del Frammaday 2012.

Di seguito vi forniamo un abstract delle borsiste vincitrici:

“PIÙ MINACCIOSA DELLA VIOLENZA”

Fondazione Angelo Frammartino, Borsa di studio per la pace 2011/2012, Prima Area tematica : Pratiche di nonviolenza per la soluzione dei conflitti”. “Più minacciosa della violenza”, resistenza nonviolenta e obiezione di coscienza in Israele/Palestina: una comparazione tra il Comitato popolare contro il muro e gli insediamenti e i Combattenti per la pace.

Uno dei sentieri di ricerca più stimolanti e al tempo stesso ancora non ampiamente percorsi nello studio del conflitto israelo-palestinese è la prospettiva euristica che si concentra intorno alla resistenza nonviolenta e all’obiezione di coscienza di fronte all’opzione militare e armata.

Si tratta dello studio delle pratiche individuali e organizzate derivanti dal rifiuto, da un lato, del servizio nelle fila delle Israeli Defense Forces, e, dall’altro, della partecipazione alla resistenza armata palestinese contro l’occupazione israeliana. Due scelte certamente differenti, ma non per questo meno interessanti da analizzare e comparare.

Se infatti gli studi scientifici – ma anche la pubblicistica – non hanno mancato di approfondire la storia dell’obiezione di coscienza all’interno di numerosi e tra loro diversi movimenti israeliani, questa realtà appare ancora scarsamente affrontata in campo palestinese e nell’ambito delle associazioni congiunte israelo-palestinesi.

La storia dell’obiezione di coscienza nel teatro politico e bellico successivo alla fondazione dello stato d’Israele nasce con il primo conflitto arabo-israeliano (1948-49). Ma è con gli anni Sessanta e in particolare dopo la guerra dei Sei giorni del giugno 1967 che nell’opinione pubblica israeliana si fanno strada le opinioni contrarie all’intervento militare e si organizzano le diverse anime che comporranno la galassia pacifista costellata di posizioni ed espressioni tra loro molto differenti.

“L’incontro delle alunne e degli alunni musulmani con la scuola pubblica italiana”

L’incontro delle alunne e degli alunni musulmani con la scuola pubblica italiana. La scuola italiana di oggi rispecchia le trasformazioni in atto ormai da alcuni anni nella nostra società, che diviene sempre meno omogenea e monolitica.È infatti indubbio che l’Italia, che per decenni è stata terra di emigrazione, sia oggi anche terra di immigrazione. Tali trasformazioni non possono non avere una loro influenza anche nella scuola, in particolare in considerazione del fatto che i bambini e i ragazzi fino a sedici anni non soltanto hanno il diritto, ma anche il dovere di frequentare la scuola, come è stabilito dall’art. 34 della Costituzione, che sancisce: “La scuola è aperta a tutti.

L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.

Serena Tolin

“Alla ricerca di un senso, Studio etnografico della migrazione honduregna verso gli Stati Uniti a partire dal paese di origine”

Nel mio elaborato mi propongo di raccontare la migrazione honduregna verso gli Stati Uniti a partire dalla voce degli stessi migranti e dei loro familiari.

La mia scelta è quella di analizzare il fenomeno nelle sue dimensioni individuali e soggettive, riconoscendo la più ampia matrice sociale in cui  tali dimensioni sono iscritte.

Il mio lavoro è frutto di una ricerca di campo svolta in Honduras e durata circa tre mesi (ottobre-novembre 2011) durante i quali ho potuto raccogliere numerose interviste ed osservare personalmente le dinamiche e i fenomeni che riporto nel testo.

La finalità generale della mia ricerca vuol essere quella di esplorare ed interpretare l’esperienza migratoria e la spirale di violenza ad essa connessa, ricostruendo  dunque le “radici” del fenomeno stesso.

Antonia Giordano

L’Uruguay

Questa ricerca ha l’obiettivo di analizzare le relazioni di accoglienza tra Italia e Uruguay alla luce del processo di emigrazione italiana in Uruguay e delle conseguenze politiche e culturali che tale fenomeno ha generato nel lungo periodo, in particolar modo attraverso la nascita di un flusso migratorio dal vettore inverso, che ha rafforzato la storia di solidarietà tra i due Stati.

Il flusso migratorio che dall’Italia si diresse in Uruguay, dall’inizio del XIX secolo fino al secondo dopoguerra del XX secolo, ha infatti prodotto un forte avvicinamento culturale. Esuli dei moti del 1821, mazziniani, garibaldini e poi anarchici, oltre che cittadini in cerca di migliori condizioni di vita, emigrarono in Uruguay, dove furono accolti e s’integrarono nella società.

Questo movimento generò un interscambio che si è intensificato soprattutto nel momento più difficile della storia politica dell’Uruguay.

I dodici anni di dittatura, dal 1973 al 1985, hanno accentuato le connessioni tra i due paesi in ambito diplomatico, politico e sociale fino a creare un flusso di emigrazione in direzione contraria a quella iniziale, che dall’Uruguay ha portato molti esuli politici in Italia.

La presenza oggigiorno della comunità italiana in Uruguay e di quella uruguaiana in Italia, entrambe perfettamente inserite nel tessuto sociale, è una riprova di questo legame, che ha avuto il suo momento culminante nell’epoca del regime dittatoriale nello stato latino-americano.

L’esodo italiano ebbe un duplice carattere: un flusso di forza-lavoro imbarcatosi per le Americhe in cerca di migliori condizioni occupazionali e un’emigrazione politica di esuli dei moti del ’20, che volevano riprodurre nella nuova patria la tensione verso la libertà nazionale.

Martina Paone

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