Secondo concorso per Borse di Studio “Angelo Frammartino”: presentiamo in questa pagina gli abstract dei lavori realizzati nell’ambito del secondo concorso per borse di studio.
I lavori, che saranno presentati il prossimo 28 aprile presso la sala don Luigi di Liegro di Palazzo Valentini, sede della Provincia di Roma, saranno integralmente pubblicati sul nostro sito e liberamente scaricabili.
“Go East, Go West: Punjab is the Best! La diaspora indiana in Italia, tra Bollywood e politiche di integrazione” (di Clelia Clini)
Il presente studio mira ad indagare il processo di migrazione del cinema popolare indiano, più noto come Bollywood, oltre i confini dell’India, verso il territorio italiano della diaspora – nello specifico tra la comunità sikh che fa riferimento al Gurdwara di Novellara (RE)- e la fruizione dello stesso da parte delle comunità diasporiche, nonché il significato che per esse assume a livello identitario. L’analisi si propone, mantenendo come punto di riferimento l’opera di Arjun Appadurai (1996) circa l’importanza dell’immaginazione nei processi di costituzione delle soggettività moderne, di collocare il cinema popolare indiano all’interno dei processi di migrazione, trans-nazionalismo e politiche di integrazione, per studiarne la funzione, in qualità di media transnazionale, nel posizionamento (Hall, 1993) dell’identità della comunità diasporica sikh.
Frontiere della cittadinanza: ripensare partecipazione e rappresentanza politica di fronte alla nuova società d’immigrazione. (di Monica Locatelli)
La nuova società d’immigrazione e quindi i soggetti di cui si compone, hanno operato la messa in discussione dei meccanismi in base ai quali lo stato italiano costruisce la partecipazione e quindi il senso di affiliazione dei soggetti, tracciando una linea di demarcazione netta tra cittadini e non cittadini, inclusi ed esclusi. Questi nuovi cittadini con la loro semplice presenza rivendicano il diritto a partecipare alla costruzione e di essere rappresentati nella società in cui vivono e che contribuiscono a edificare, rivendicando un pieno riconoscimento della propria individualità in quanto interlocutori legittimi all’interno del dibattito politico.
Il mancato riconoscimento e quindi partecipazione attraverso una legittima rappresentanza ha prodotto e contribuisce a produrre attualmente delle tensioni intestine alle società, che possono talvolta esplodere in veri e propri scontri violenti.
La ricerca che ho effettuato ha previsto l’indagine e quindi la descrizione dei meccanismi conflittuali che si creano all’interno del dialogo tra istituzioni e nuovi soggetti sociali, contribuendo alla successiva costruzione di una più efficace integrazione nel discorso di partecipazione politica e rappresentanza.
Prevenzione dei conflitti alle porte dell’Europa: la costruzione di una pace stabile in Moldova-Transnistria (di Bernardo Venturi)
La ricerca è volta a individuare e ad analizzare le peculiarità del conflitto in Transnistria e possibili soluzioni che evitino un’escalation violenta. Da quasi venti anni la regione moldava della Transnistria si è dichiarata indipendente, ma nessuno Stato l’ha mai riconosciuta. Le tensioni con la Moldova hanno portato a svariati episodi di tensione con il governo moldavo, sfociati nel 1992 in un conflitto frontale, fermato dall’intervento dell’esercito russo. Questi anni, contrassegnati da una relativa calma da un punto di vista militare, sono stati contrassegnati da forti tensioni politico-istituzionali che, però, non hanno portato a nessun cambiamento sostanziale. Il conflitto moldavo può quindi essere ancora definito come un “conflitto congelato” in modo simile ad altre tre situazioni legate all’ex Urss. L’obiettivo della ricerca non è quindi analizzare solo le vie diplomatiche ufficiali, ma la cosiddetta “Track two”, le relazioni non ufficiali a livello di organizzazioni sociali intermedie e dal basso. Analizzare il lavoro per la pace già realizzato a livello locale mostra casi di “buone prassi” che possono divenire un utile strumento per chi opera nel peacebuilding in Moldova o in altri contesti analoghi.
Lo spazio, il diritto e le loro pratiche in una frontiera coloniale contemporanea: Battir e i villaggi a ovest di Betlemme (Palestina) (di Nicola Perugini, Samir Harb)
Lo spazio e il diritto, o meglio lo spazio del diritto e il diritto applicato allo spazio, sono stati tra gli elementi costitutivi della sovranità coloniale israeliana nei Territori Palestinesi Occupati (TPO). Attraverso la forza di pratiche spaziali che hanno sistematicamente violato i confini di quella stessa legislazione internazionale che ha abilitato l’occupazione “temporanea” dei TPO, e attraverso la regolarizzazione di queste violazioni, il paesaggio dei TPO è stato progressivamente trasformato in uno spazio legale in cui la sovranità coloniale agisce per mezzo di un sistema misto fatto di applicazione –e di reciproca integrazione– di leggi sempre più articolate e di costanti “innovazioni” negli strumenti e nelle pratiche di governo degli spazi e dei movimenti palestinesi. Questo processo si è fatto ancor più marcato dopo gli accordi di pace di Oslo, quando l’istituzionalizzazione della separazione tra israeliani e palestinesi –senza decolonizzazione– si è rivelata uno strumento di intensificazione da parte dei primi per un’ulteriore compartimentazione del paesaggio dei secondi e per l’affinamento delle tecniche connesse al processo. Battir e villaggi occidentali di Betlemme, analizzati con uno sguardo storico-antropologico, offrono un esempio di ciò che lo spazio, il diritto e le loro pratiche si rivelano nel contesto contemporaneo di amministrazione israeliana della popolazione e degli spazi palestinesi dei TPO.
Prhovo2010 (di Vittoria Fiumi)
Tre anni dopo la fine delle violenze militari del 1992-95, centinaia di migliaia di sopravissuti alla pulizia etnica decisero di tornare in Bosnia. Molti non poterono fare a meno di notare le drammatiche trasformazioni che i luoghi dove avevano vissuto prima della guerra avevano subito. Durante la guerra il paesaggio è completamento cambiato, molte case sono state distrutte, le foreste sono state decimate per ricavarne legna da ardere e gli orti e i campi ormai abbandonati hanno smesso di dare frutti e molti sono stati minati. Durante la mia ricerca ho incontrato le donne di Prhovo, un villaggio aldilà del fiume Sana vicino alla città di Kljuc, nel nord-ovest della Bosnia. Queste donne hanno deciso di tornare nonostante siano costrette a vivere nella costante memoria di quello che è accaduto durante la guerra. Nel loro villaggio il primo giugno del 1992 furono uccise 53 persone. Prima della guerra, Prhovo era abitato da 200 persone ed oggi sono tornate solo tre famiglie. Dopo aver condotto alcune interviste e partecipato alla vita quotidiana di queste tre famiglie, ho raccolto in questo elaborato le mie impressioni sul concetto del ritorno e sulla vita quotidiana in questo piccolo villaggio bosniaco.
Come vivono i raccoglitori informali di rifiuti di etnia rom a Roma: attori ed esperienze internazionali a confronto (di Matilde Carabellese)
Nella città di Roma, i rom rappresentano il gruppo numericamente più rilevante dedito alla raccolta informale dei rifiuti. I rovistatori di cassonetto gitani sono oltre 2000 e negli ultimi anni sono arrivati a controllare il primo anello della filiera del settore dell’usato.
La raccolta informale di rifiuti è un’attività praticata in molti stati del Sud del Mondo: secondo la Banca Mondiale, circa 15 milioni di persone nel mondo si guadagnano da vivere attraverso il recupero dalla spazzatura dei materiali riutilizzabili e riciclabili. Alcuni Paesi hanno adottato nei confronti della questione, soluzioni innovative che riconoscono il valore ed il ruolo svolto dai waste pickers.
Il testo è diviso in due capitoli. Nel primo capitolo si descrivono il processo di modernizzazione del settore dei rifiuti urbani e il ruolo svolto dai raccoglitori informali di rifiuti nel sistema. Successivamente sono presentati quattro studi di caso riferiti ad altrettante città dell’ India e del Brasile. L’intenzione è di mostrare che interventi di riconoscimento e valorizzazione dei waste pickers sono possibili anche in Paesi estesi, densamente popolati ed in pieno sviluppo economico: senza che ciò rappresenti una minaccia all’ambiente ed all’economia.
Nel secondo capitolo si ricostruisce il contesto in cui operano le microimprese rom attraverso una descrizione della situazione romana dell’economia informale dell’usato e delle politiche praticate negli ultimi anni dalle amministrazioni comunali nei confronti dei rom. Nei loro riguardi, difatti, oltre alle problematiche tipicamente connesse ai waste pickers, si associano ulteriori difficoltà legate alle modalità peculiari con le quali questa minoranza viene trattata .
Questa parte della ricerca è stata condotta utilizzando diversi strumenti selezionati a seconda dei soggetti presi in esame. Per quanto riguarda i raccoglitori informali di rifiuti, si è scelto di sottoporre ad un campione di 104 rom un questionario a risposta chiusa. Per comprendere il contesto socio-politico, oltre ad offrire una analisi della letteratura scientifica sono stati contattati diversi testimoni privilegiati.
Seminare le terre di mafia. Le cooperative di Libera Terra in Sicilia come esperienza di sviluppo locale (di Niccolò Mignemi)
L’esperienza del riutilizzo sociale dei beni confiscati costituisce un punto centrale di una strategia di attacco ai patrimoni mafiosi ed è allo stesso tempo uno strumento capace di restituire alla comunità ciò che gli era stato illegittimamente sottratto, trasformandolo in una concreta occasione di sviluppo. Nello spazio di opportunità aperto dalla legge 109/96, nata ad integrazione della legge Rognoni-La Torre, nasce il progetto Libera Terra che nel novembre 2001 porterà in Sicilia alla costituzione della cooperativa sociale Placido Rizzotto. A partire dalle testimonianze dirette di una serie di soggetti coinvolti a vario titolo, integrate da un’ampia documentazione, si esplorano qui le tappe principali di questa prima esperienza ed il tessuto di relazioni che essa ha saputo costruire nel tempo, tanto in ambito locale quanto a livello nazionale: nata come progetto pilota, essa si è nel frattempo consolidata ed è oggi la manifestazione concreta di uno sviluppo alternativo, capace di smascherare i meccanismi di sfruttamento e di impoverimento esercitati dalla criminalità organizzata sul territori.