Il numero di maggio di Comunicazioni di pace esce dopo un mese intenso di attività ed esperienze. Il programma delle iniziative di primavera che anche quest’anno siamo riusciti a vivere grazie alla vicinanza e alla partecipazione di giovani, scuole ed istituzioni del territorio di Monterotondo e Roma è stato particolarmente impegnativo e ci ha lasciato un’importante consapevolezza: lo stare insieme trae la sua linfa vitale e le sue possibilità dal “guardare oltre”, anche oltre ciò che siamo riusciti a costruire in questi mesi.
Un guardare oltre che si concretizza nel voler continuità ai percorsi progettuali già intrapresi. Ma soprattutto nella consapevolezza che ci sono ancora molte mani da stringere e molte voci da ascoltare.
Questa indicazione ci viene dai giovani, grandi protagonisti dell’esperienza associativa di questi ultimi mesi. I giovani delle nostre scuole, i giovani di Gerusalemme, i giovani che abbiamo incontrato marciando insieme da Perugia ad Assisi, il 16 maggio scorso, e durante il meeting nazionale delle scuole di pace, nelle giornate precedenti la marcia.
I giovani che non vogliamo mai destinatari passivi del nostro attivismo, ma piuttosto, come in molti modi essi stessi ci hanno chiesto, protagonisti entusiasti di un’esperienza associativa ricca di prospettive e aperta ad ogni possibilità. Più che andare loro incontro noi vogliamo incontrarci con loro e imparare a guardare insieme il mondo nel quale viviamo e la realtà a volte tragicamente buia nella quale insieme siamo immersi.
Abbiamo vissuto giorni carichi di speranza. Una speranza che non può essere solo nostra, non può appartenerci, che viene da queste vite entusiaste e appassionate che incrociano la nostra storia. Dal futuro che esse chiedono di poter avere e che è un invito e al tempo stesso una responsabilità. Da questo viene l’invito a lanciare lo sguardo oltre gli stretti confini della quotidianità e di una storia che parla ancora di emarginazione, violenza, povertà e sofferenza, oltre le barriere nelle quali ci stiamo facendo relegare e alle quali rischiamo di fare l’abitudine. Un’abitudine che non possiamo permetterci, che non ci permetteranno le ragazze e i ragazzi cui appartiene il domani che dobbiamo costruire.