Alla ricerca di un senso: Studio etnografico della migrazione honduregna verso gli Stati Uniti a partire dal paese di origine. Nel mio elaborato mi propongo di raccontare la migrazione honduregna verso gli Stati Uniti a partire dalla voce degli stessi migranti e dei loro familiari.
La mia scelta è quella di analizzare il fenomeno nelle sue dimensioni individuali e soggettive, riconoscendo la più ampia matrice sociale in cui tali dimensioni sono iscritte. Il mio lavoro è frutto di una ricerca di campo svolta in Honduras e durata circa tre mesi (ottobre-novembre 2011) durante i quali ho potuto raccogliere numerose interviste ed osservare personalmente le dinamiche e i fenomeni che riporto nel testo. La finalità generale della mia ricerca vuol essere quella di esplorare ed interpretare l’esperienza migratoria e la spirale di violenza ad essa connessa, ricostruendo dunque le “radici” del fenomeno stesso.
Leggere la migrazione a partire dalle voci dei familiari dei migranti, dalle storie dei migranti espulsi e rimpatriati dagli USA o di coloro che si apprestano ad affrontare il viaggio, vuol essere un modo per cogliere i meccanismi che fanno da sfondo alla scelta di emigrare e per tentare di capire come si sviluppano i complessi processi di legittimazione ed accettazione della violazione dei diritti umani che accompagnano l’esperienza migratoria. La realizzazione della ricerca si è basata sul coinvolgimento diretto della società civile honduregna, di alcuni organismi che si occupano del fenomeno migratorio, quali il Comitato di familiari dei migranti desaparecidos e il gruppo di migranti che hanno subito mutilazioni e amputazioni degli arti a seguito di drammatici incidenti avvenuti durante il viaggio migratorio.
Nel tentativo di ricostruire le dimensioni soggettive del fenomeno migratorio, ho cercato di dare la parola ai diretti protagonisti attraverso la realizzazione di interviste e la raccolta di storie di vita. La mia ricerca che nasce e si sviluppa proprio nel tentativo di dar voce a chi viene quotidianamente messo a tacere, per raccogliere e ascoltare le testimonianze di chi rimane invisibile nel monocromatico panorama degli interessi economici e politici internazionali. Per questo, nella stesura dell’articolo, le mie riflessioni sono sempre intervallate da frammenti di interviste, facendo in modo che l’analisi parta dalla voce dei migranti e dalla loro personale esperienza. Sostanzialmente, il mio lavoro ruota attorno a quattro assi:
- la società honduregna e la percezione del fenomeno migratorio
- le famiglie dei migranti appartenenti al Comités de Familiares de Migrantes desaparecidos del Progreso
- i migranti deportati dagli USA che trovano appoggio nel CAMR (Centro de Atención al migrante retornado)
- i migranti mutilati o invalidi a seguito di terribili incidenti avvenuti durante il viaggio migratorio appartenenti al gruppo “Lisiados por un sueño” (mutilati per un sogno).
E’ proprio a partire da questi quattro livelli di analisi che ho cercato di ricostruire l’articolato sfondo che sta al cuore dell’emigrazione honduregna. La traiettoria che ho seguito nel mio elaborato, parte dallo studio delle dinamiche che prendono forma nel paese di origine dei migranti, che rappresentano il denominatore legittimante e la forza propulsiva del fenomeno migratorio. Una prima parte dell’articolo (due paragrafi) è quindi dedicata alla ricostruzione del quadro storico e del contesto socio-politico che fa da sfondo alle dinamiche migratorie. L’Honduras terra di uragani e di multinazionali di banane, di politici corrotti e di piccoli angoli di paradisi tropicali, è il terreno nel quale affondano le radici del processo migratorio.
Di fronte a uno scenario in cui più della metà della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno, con un tasso di analfabetismo del 15,2 %, il più alto tasso di omicidi al mondo ed un quadro politico caratterizzato da corruzione e instabilità, non serve appellarsi alle grandi teorie sociologiche sulle cause della migrazioni, per immaginare quali siano le ragioni che spingono le persone ad emigrare. La migrazione in Honduras, in molti casi, rappresenta l’unica strategia di sopravvivenza in mezzo ad un piatto e scarno scenario di alternative possibili.
Dopo la ricostruzione delle dimensioni storiche e sociali del contesto migratorio honduregno, nel paragrafo “Il cammino dei diritti violati” ho ricostruito la spirale di violenza che avvolge il viaggio migratorio.
L’esperienza migratoria degli honduregni diretti negli Stati Uniti è un cammino che avviene lungo un sentiero di diritti violati: violazioni, abusi, estorsioni da parte di poliziotti e forze dell’ordine, sequestri. La violenza che i migranti vivono nelle sue quotidiane manifestazioni, va ben oltre uno stato di eccezione divenendo un fattore intrinseco della realtà migratoria. Sempre attraverso le testimonianze degli stessi migranti, ho cercato di ricostruire le traiettorie che i migranti honduregni seguono per raggiungere gli USA, soffermandomi sulle sistematiche manifestazioni di violazioni dei diritti umani. Nel paragrafo “La mia vita al otro lado: storie di migranti espulsi” analizzo l’esperienza dell’espulsione e del rimpatrio dagli Stati Uniti.
Questa parte dell’elaborato è stata costruita grazie alla raccolta di interviste ai migranti rimpatriati condotte presso il CAMR (Centro de Atencion al migrante retornado), una struttura che si trova all’interno dei due principali aeroporti dell’Honduras ed è predisposta alla prima accoglienza dei migranti. Si tratta di due centri gestiti dalle suore missionarie scalabriniane che, con la collaborazione della Direzione di Migrazione dell’OIM e grazie al costante lavoro di volontari, riescono ad offrire ai migranti rimpatriati l’assistenza e la cura di cui hanno bisogno per contrastare, seppur solo in minima parte, il disorientamento e lo spaesamento che vivono dopo l’atterraggio. Vengono offerti loro cibo, cure mediche e psicologiche, denaro per pagare il trasporto fino a casa e la possibilità di mettersi in contatto con i propri familiari. In questa parte, riportando anche dati statistici, ho cercato di mettere in luce l’esperienza del rimpatrio nelle sue complesse e molteplici sfumature soffermandomi, soprattutto, sulle interpretazioni dei migranti e sui loro stati d’animo.
Nel paragrafo “Los que quedan: la migrazione dalla parte di chi resta” parlo del Comitato dei familiari dei migranti scomparsi del Progreso, cittadina del nord dell’Honduras. Attraverso le storie e le testimonianze delle madri dei migranti desaparecidos che lottano quotidianamente per avere notizie dei propri figli scomparsi, analizzo il dramma dell’attesa e della perdita. È questo l’altro volto della emigrazione honduregna: famiglie disperate che osservano partire i propri cari e ne perdono le tracce. Infine, nell’ultimo paragrafo del mio elaborato, “Un sogno infranto: I migranti mutilati dal treno”, riporto le storie dei giovani migranti ritornati in Honduras con un’invalidità fisica o con una mutilazione, acquisite a seguito di drammatici incidenti avvenuti durante il viaggio migratorio. Si chiamano “Lisiados por un sueño” (Mutilati per un sogno), un nome che esprime tutta la drammaticità e l’amarezza di un sogno che si infrange nei meandri di violenza e insicurezza dei percorsi dei migranti. E’ un sogno che si rompe ancor prima dell’arrivo negli Stati, si frantuma lungo i binari del treno merci che gli indocumentados prendono per viaggiare verso il Nord.
Questi migranti, ritornati in Honduras con l’amputazione di un braccio o una gamba, o su una sedie a rotelle, rappresentano la chiara espressione e la drammatica concretizzazione di quei meccanismi di ingiustizia, violenza e sofferenza che caratterizzano l’emigrazione honduregna verso gli Usa. Ho riportato le loro storie cariche di dolore e sofferenza ma che, al tempo stesso, esprimono anche la loro forza di lottare e di spingersi oltre la delusione e l’amarezza di quel “sogno americano” trasformatosi nel peggiore degli incubi.
Antonia Giordano