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Ricordare, ascoltare e condividere

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Ho pensato che ogni vita merita di raccontare e raccontarsi. Che è come dire che ogni storia merita di essere condivisa. In questo senso ascolto e condivisione si danno la mano come eterni compagni di viaggio. Se questo pensiero nasce all’ombra del Monte Sole e del Monte Caprara, tra le valli del Setta e del Reno, dove la ferocia nazista ha sterminato centinaia tra vecchi, donne e bambini, forse non è troppo un azzardo dire che la memoria, l’ascolto e la condivisione si tengono per mano come eterni compagni di viaggio.

Ricordare, ascoltare e condividere. Ritrovarsi tra i giovani studenti delle scuole di Monterotondo e i loro insegnanti che di questo fanno esercizio continuo, con loro visitare i luoghi che sono stati tragico teatro nei giorni tra il 28 settembre e il 5 ottobre del 1944. Insieme riflettere sulle ragioni di quella tragedia, mai riducibili ad una ideologia né classificabili come la folle ferocia di pochi, è stata un’esperienza che non potremo dimenticare. E non solo chi di noi ha potuto partecipare in prima persona alle giornate del 14 e 15 maggio scorso, organizzate presso la Scuola di Pace che da quei luoghi contribuisce – vorrei dire in modo “sostanziale” – a ricostruire sui valori della Nonviolenza e del Dialogo una società sgretolata. La nostra. Oggi. Sgretolata non solo sotto il peso di una violenza multiforme, ma anche sotto il fardello di  un’assenza di parole e linguaggi di cui non possiamo non sentirci responsabili. Non abbiamo parole per “raccontarci”, per dire con verità da quale storia veniamo e verso quale futuro stiamo andando. Saranno i nostri ragazzi a trovarle. Forse ad insegnarcele se ancora sapremo imparare. Ricordare, ascoltare e condividere sono esperienze che hanno bisogno di parole. Scelte. Non casuali.

La memoria di un eccidio è memoria di vite che non hanno potuto raccontarsi. Di pagine interrotte, di libri bruciati prima di essere scritti. È vero che la morte è parte della vita stessa. Ma da sola non basta a cancellare le nostre storie, radicate in quelle di chi ci ha preceduti e protese nel futuro di quelli che abbiamo amato. La memoria di un eccidio non è solo memoria di una morte. È il ricordo della fine di intere comunità. Di un evento che, cancellando il passato e il futuro, ha anche negato, o rischiato di negare, il presente ai sopravvissuti. Le vittime designate e poi scampate, ma anche i carnefici costretti a misurare ogni giorno la propria umanità con l’atrocità dei loro gesti.

Non basta meditare a lungo sull’ingiusta inutilità della guerra se non ci soffermiamo altrettanto a riflettere su quella specie soltanto umana di crudeltà che sta nell’inviare altri ad uccidere metodicamente, premeditatamente, “strategicamente”.
L’orrore è un prodotto esclusivamente umano. E tra le tante inquietudini che il viaggio a Monte Sole ci ha regalato ci resta anche il sospetto che nessuno di fronte a questa consapevolezza possa dichiararsi definitivamente innocente. La propria innocenza, intesa come non adesione a certe logiche di dominio e prevaricazione che di nuovo vediamo pericolosamente germogliare nei confronti di “diversi”, è un fatto che va costruito. Forse innocente non è chi non si sporca le mani, ma chi prende posizione. Chi dice la sua correndo il rischio di sbagliare.
Ci sono in questo d’esempio i ragazzi che si affacciano al futuro in questo mondo scavato da contraddizioni tanto profonde quanto dolorose, e che provano a capirlo, questo mondo e i suoi abitanti, senza tenersi al riparo dalle contraddizioni e dai conflitti che possono generare.  La Nonviolenza non è l’apatia di chi si tiene al riparo, ma la determinazione di chi rivendica un proprio giusto posto nel quale imparare e lavorare alla costruzione di migliori tempi e luoghi migliori.

Ai ragazzi della Scuola di Pace, all’Associazione dei Familiari delle vittime degli eccidi, agli studenti e agli insegnanti delle scuole di Monterotondo va il grazie di tutta la Fondazione.

Sono loro che rendono possibile, con entusiasmo e generosità, il lavoro che in questo anno abbiamo realizzato. E che ci danno ancora energie sufficienti a sperare di poter continuare a ricordare, ascoltare e condividere, le nostre storie come piccoli tasselli di un colorato mosaico.

Chiara Calò per la Fondazione Angelo Frammartino Onlus

 

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