Le cooperative di Libera Terra in Sicilia come esperienza di sviluppo locale.
Le mafie non sono una costante socioculturale né il residuo arcaico di un mondo tradizionale ed arretrato, esse sono piuttosto, come ha mostrato Umberto Santino, un fenomeno storico complesso, capace di «coniugare radicamento ed elasticità, rigidità formali e mutamenti di fatto». Per questo è necessario che le strategie di contrasto non solo le combattano sul piano della loro dimensione organizzativa e delle relazioni intessute con il mondo della politica, delle istituzioni e dell’economia, ma sappiano colpirle nei loro interessi materiali.
Con questo obiettivo nacque e fu approvata la legge 13 settembre 1982, n. 646, nota anche come “legge Rognoni-La Torre”, che, proprio intuendo l’importanza dell’attacco alle ricchezze accumulate illecitamente dalla criminalità organizzata, oltre ad introdurre il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, prevede una serie di misure di carattere patrimoniale, tra cui il sequestro e la confisca dei beni di cui non sia dimostrata la legittima provenienza. Su questo aspetto il provvedimento ebbe però inizialmente un’efficacia limitata, almeno fino a quando, con la legge 7 marzo 1996, n. 109, si introdusse la possibilità del riutilizzo sociale dei beni confiscati, tramite la loro assegnazione a titolo gratuito a soggetti della società civile.
Il progetto Libera Terra in Sicilia fu il primo esperimento tentato nello spazio d’opportunità così aperto. Grazie all’azione congiunta dell’associazione Libera, del prefetto di Palermo e del Consorzio Sviluppo e Legalità, costituitosi tra diversi Comuni dell’Alto-Belice Corleonese, si arrivò infatti ad un bando pubblico per la selezione di quindici giovani disoccupati che di lì a pochi mesi avrebbero costituito la cooperativa sociale Placido Rizzotto e ricevuto in comodato d’uso gratuito oltre 150 ettari di terreni agricoli confiscati.
A partire dalle testimonianze dirette di una serie di soggetti a vario titolo coinvolti nel progetto, integrate dalla raccolta di una serie di documenti che permettono di ricostruirne il percorso evolutivo, la ricerca esplora le tappe principali di questa prima esperienza ed il tessuto di relazioni che essa ha saputo costruire nel tempo, tanto in ambito locale quanto a livello nazionale. Nata come progetto pilota, la Placido Rizzotto è oggi la manifestazione concreta del fatto che, anche nelle zone fortemente condizionate dal peso delle mafie, è possibile uno sviluppo alternativo, tanto sul piano sociale quanto su quello economico: non un’oasi felice in mezzo al deserto, ma piuttosto il catalizzatore di dinamiche differenti capaci di sottrarre alle mafie il favore del territorio, smascherandone così i meccanismi di sfruttamento e di impoverimento.
Niccolò Mignemi