Cerca

Incontri- Matilde Carabellese

Indice argomenti trattati:

So che per un attimo la mia vita e quella di Angelo si sono incontrate. Per una serie di casualità anch’io avevo deciso di partecipare al campo estivo in Medio Oriente. Ma così non è stato. Altri sentimenti ed altre circostanze hanno avuto la meglio sui miei propositi.

La notizia della sua morte mi ha raggiunto in un’afosa sera d’estate, una tipica serata estiva di una ventenne: in giro con gli amici e il sole ancora sulla pelle.

Ognuno reagisce a notizie del genere a modo suo, normalmente la reazione è tanto più forte quanto più stretta è la relazione che ti lega alla persona defunta. Io non avevo legami amicali diretti con Angelo ma quel lutto fu come un pugno allo stomaco che marcò la mia spensierata estate. Nei giorni successivi pensavo continuamente al suo sacrificio e soprattutto pensavo che avrei potuto esserci realmente io al suo posto. Il sollievo per non aver passato le mie vacanze in un luogo così pericoloso era frammisto al senso di colpa e all’ammirazione per quel ragazzo. Ammirazione per aver scelto di sacrificare il suo tempo, le sue vacanze come io non avevo voluto o potuto fare.
Conosco persone vicine ad Angelo e so per certo che era una persona attiva, vitale, e sicuramente anche lui come me, aveva una spiaggia e un gruppo di amici che lo aspettavano.

Quando ho letto il bando delle Borse di Studio della Fondazione ho pensato che fosse l’occasione per fare una ricerca su un argomento che stimolava la mia curiosità. Fino alla fine non avevo la piena percezione che questo progetto mi avrebbe aiutato a chiudere un cerchio.

Nella mia infanzia gli zingari erano persone dalle quali stare lontano. Qualche adulto mi aveva raccontato del mito della zingara rapitrice e io come tutti i bambini ero propensa a credere a quasi tutto quello che mi dicevano i grandi.

Il mio primo incontro ravvicinato con i rom è avvenuto da adulta. Si chiamava Mario, all’epoca era un bambino che chiedeva l’elemosina al porto di Napoli.  Lo incontravo ogni volta che tornavo sull’isola, incuriosita e turbata dalla sua vivacità mi fermavo spesso a parlare con lui. Quando a febbraio di quest’anno sono entrata per la prima volta in un campo rom, il bagaglio emotivo che mi portavo dietro era questo. Come molte persone i miei sentimenti oscillavano tra fascinazione, pietismo e indignazione.

Entrare nelle loro case, parlargli, passare del tempo con loro sono state una continua sfida ai miei limiti e ai miei pregiudizi. Quando capitava che raccontassi a qualcuno quello che stavo facendo la reazione era comunemente di stupore o addirittura di scherno: “ma cosa fai ?  – o – è pericoloso – e ancora – chi te lo fa fare”. Più o meno le stesse cose che mi ripetevano in tanti quando dicevo che volevo fare un campo estivo in un Paese a rischio.

A conclusione di questo viaggio vorrei dire Grazie a tutti coloro che a vario titolo hanno reso possibile tutto ciò. Grazie per avermi offerto la possibilità di capire che è possibile aiutare il prossimo anche senza prendere l’aereo.

Grazie per avermi fatto scoprire il mondo romanì.
Grazie per avermi fatto incontrare persone che hanno impresso un segno dentro di me.

Matilde Carabellese

 

Se ti è piaciuto l'articolo condividilo
Articoli correlati